Voci urbane è il blog di Bergamo per i Giovani, le Politiche Giovanili del Comune di Bergamo, un luogo di approfondimento e racconti!
È quasi un anno oramai che la scuola è uscita dalla scuola, dall’ambito scolastico, dallo spazio fisico dei luoghi e si è fatta spazio in cerca di nuovi spazi: le case, le camerette, i giardini, la strada. Così facendo è cambiata, quella che si può definire la filosofia dell’apprendimento, del vivere le relazioni, del vivere tutte quelle esperienze nascoste, insite, generative della parola “scuola”. Esperienze dell’oggi, vissute in una storia che si sta scrivendo dalle varie generazioni in condivisione di un tempo unico.
Dalla Generazione Y detta anche Millennial che descrive tutti i nati dal 1981 al 1996 e alla generazione più recente: la Generazione Z che comprende tutti i nati a partire dal 1997. Due generazioni immaginate, già prima della loro nascita, e rappresentate da una rivoluzione costante della tecnologia o meglio delle tecnologie a supporto della qualità della vita, delle relazioni, dei contatti e anche e soprattutto delle tecnologie di supporto all’apprendimento che hanno fino ad oggi rivoluzionato il sistema scuola. Generazioni quindi pensate da altre generazioni, precedenti alle loro che hanno riflettuto e provato a costruire un “tra”, quasi chiamati a lasciare compiti ed eredità. A questo proposito molto interessante è la definizione che si dà, appunto, del termine “Generazione”.
La Treccani suggerisce per il termine “Generazione” il tempo intermedio che intercorre tra una generazione e quella successiva. Un tempo, in mezzo, un “tra”, tra vecchi e giovani, anziani e le cosiddette “nuove generazioni” come se tutte le altre fossero già passate di moda. Ed è questo passaggio di moda, questa non più appartenenza, un ormai tempo passato sia biologico e cronologico che la generazione degli anziani di oggi contestano, rivendicano e chiedono ai giovani. Come scrivono Marco Aime e Luca Borzani in Invecchiano solo gli altri aprendo il testo: «Eppure è evidente, non ci sono più gli anziani di una volta. Sono tanti e saranno sempre di più.. Non rivolgono lo sguardo solo al passato ma si misurano con un futuro ancora lungo…Anche i giovani non sono più quelli di una volta. Sempre meno numerosi, discriminati, costretti a lunga post adolescenza in un presente che svuota passato e futuro». Si apre il conflitto di generazioni e tra generazioni. Conflitto non solo politico e culturale, ma anche e soprattutto economico e sociale, dove le rappresentazioni del tempo, della vecchiaia e della gioventù, sono affidate al senso comune. L’attivo e il passivo sono decisi in base a scelte economiche e di produzione.
È oggi, la quotidianità dei vecchi del “non ho più l’età” e di quelli degli aperitivi al bar. Vecchi, giovani, di lotte per la costruzione di una società ideale, i vecchi del “boom economico”, della tv e del primo frigo in casa, quelli delle prime emigrazioni, delle marce e i vecchi delle carezze e delle debolezze, i vecchi dei progetti per la vita realizzati e i vecchi nonni. Gli stessi vecchi, del “personale è politico”: motto nato a cavallo dei due decenni tra il 60’e il 70’, tra i gruppi giovanili di sinistra e in particolare tra le donne per indicare una svolta che si potrebbe definire intimistica personale nel modo di fare politica “non si può volere un mondo nuovo e diverso se prima non si diventa noi stessi uomini e donne diversi”. Impegnativo compito quello nascente ma anche e soprattutto un impegno a “partire da sé” quello che ancora ora potrebbe essere preso in carico da entrambe le generazioni che vivono il nostro presente. Vecchi e giovani. Giovani che non sono più giovani, giovani della semplificazione scrive Stefano Laffi, puntando il dito contro la società dell’oggetto, del materiale, «abbiamo perso l’anima del mondo e abbiamo generato cose senz’anima…La semplificazione è diventata un valore, l’unica a cui puntare, riducendo l’esistenza e il mondo a qualcosa che si può mettere in moto schiacciando il tasto play senza sapere cosa c’è dietro». Giovani della realtà che Eugenio in Via di gioia canta come «giovani illuminati da una realtà a risparmio energetico», tutto si semplifica in un clic, in uno scatto non più ricordo, ma istante dalla durata di 24H. Ma anche i giovani che in questo periodo di forte incertezza o come direbbe il filosofo Ivo Lizzola “tempo d’esodo” si sono trovati coinvolti in una rivoluzione dei propri attimi di vita, dei propri spazi, delle loro attività quotidiane della scuola e che paradossalmente, pensate come “generazioni delle nuove tecnologie” e quasi stereotipate come quelli “del clic facile” hanno fatto più fatica a stare giornate intere fissi e attaccati agli schermi rivendicando il senso della scuola, delle relazioni, dei rapporti con i coetanei e anche con le generazioni, per restare in tema, che curano la loro formazione: i docenti, gli educatori e tutti i professionisti della cura incontrandosi per la costruzione di nuovi incontri per sperimentare ancora una volta, la vicinanza, il contatto fisico, lo sguardo.
Vecchi e giovani che chiedono nel “tra” intermedio tra generazioni, ognuno all’altro nel bisogno di rinascere costantemente in una «co-nascita», scrive Emmanuel Levinas, e generare tempi e luoghi dove possa avvenire un incontro che generi risposte e altre domande e richieste da entrambe le parti ma soprattutto luoghi dove anziani e giovani possano partire da sé per incontrare l’altro e vivere concretamente “il personale è politico” assumendosi impegni.
Luoghi di «co apprendimento» direbbe Tim Ingold dove i saperi sono condivisi. Luoghi di ascolto e di scoperta facendo delle generazioni germinazioni sempre nuove. Luoghi del “tra” dove si sperimenta il “co”. Luoghi e tempi di progettazione, dove si ritorna a sognare insieme non solo nelle proprie camerette ma nella scuola, negli spazi giovanili, negli spazi della città, perché come direbbe Danilo Dolci “ciascuno cresce solo se sognato”. Questo ritornare a sognare da un lato è venuto a mancare dall’altro è esploso, la prova sono le tante manifestazioni messe in atto dai ragazzi e dalle ragazze per dire stop alla didattica a distanza, coscienti delle imprese, della situazione, dei tempi organizzativi delle scuole per poter ritornare a fare scuola in presenza.
Il sogno, quindi, non è solo puro desiderio e immaginazione ma è visione prospettica verso qualcosa di altro da noi che proviamo a costruire nel presente per il futuro. Come chi ha costruito questo futuro per le generazioni Y e Z anche queste ultime gettano e getteranno le basi per la costruzione di nuove forme di comunità. Arduo impegno, quindi, dei professionisti della cura non è altro che essere capaci di attestazione e accompagnare nel costante processo del costruir-si.
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